«Ricordiamoci che se per far cadere a terra basta una mano pesante, per rialzare ci vuole una mano così leggera da non lasciare impronte».[1] Deve essere così la mano dei volontari della Fondazione Ufficio Pio, in aiuto dei bisognosi sin dalla nascita dell’ente. Il loro ruolo, fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi dell’ente, ha saputo adattarsi ai cambiamenti occorsi in 430 anni di storia.

A inizio Seicento i “Visitatori dei poveri vergognosi” sono confratelli che settimanalmente portano le “limosine” ai poveri, per questo prendono il nome di elemosinieri.[2] Quello offerto dai quattro elemosinieri, uno per quartiere, è un aiuto economico ma anche spirituale, perché devono dimostrarsi “pazienti” e usare “parole di edificazione”. Il loro ruolo si basa su una onestà di fondo che porta a segnalare solo i casi che rientrano nei criteri dell’Ufficio Pio, mantenendo massima riservatezza sui nominativi. Un compito non facile, che unito a una interpretazione soggettiva delle situazioni, porta a molteplici revisioni del regolamento che, nella prima versione, chiede di dare la precedenza ai “virtuosi”, non meglio specificati.[3]

L’incremento della superficie urbana e della popolazione richiede un maggior numero di elemosinieri, assegnati alle parrocchie di residenza. L’elemosiniere non è solamente un corriere del denaro né tantomeno “padrone delle elemosine” ma una persona che conosce a fondo il proprio quartiere per individuare i veri bisognosi che rientrano nei criteri assistenziali dell’Ufficio Pio e che siano in grado di utilizzare nella maniera corretta il sussidio. Spesso sono i parroci a segnalarli, promuovendo un rapporto di collaborazione che rimane centrale nei secoli, come dimostra il regolamento del 1853, nel quale si stabilisce che i delegati di beneficenza, così sono chiamati gli elemosinieri, sono eletti tra i membri delle Giunte parrocchiali.[4]

Dunque chi sono i delegati? Donne e uomini benestanti, avvocati, ingegneri, industriali, esponenti della nobiltà torinese e politici come Amedeo Peyron[5], sindaco di Torino durante le celebrazioni di Italia 61; più recentemente sono ex dipendenti dell’Ufficio Pio o dell’Istituto Bancario San Paolo che arrivano a una collaborazione pluridecennale, come testimoniano i diplomi rilasciati annualmente.

Dagli anni Ottanta viene chiesto ai delegati di frequentare corsi di formazione per affrontare con competenze maggiori l’assistenza economica e sociale ai decaduti e alle nuove forme di povertà, declinate anche dal punto di vista educativo. A seguito della revisione statutaria dell’Ufficio Pio, nel 2000 viene fondata l’Associazione Volontari Ufficio Pio, con lo scopo di:

“perseguire e sviluppare la solidarietà e la promozione umana con particolare riguardo alle categorie sociali più deboli; collaborare alle iniziative benefiche dell’ufficio Pio della Compagnia di San Paolo.” [6]

Trait d’union tra bisognosi e Ufficio Pio, i volontari accertano la veridicità delle informazioni fornite dagli assistiti mediante visite domiciliari, non consegnano il denaro ma effettuano direttamente le spese per conto dei beneficiari. Dal 2017 gli aiuti economici sono corrisposti in maniera tracciabile sui conti correnti degli assistiti, ma nascono nuove funzioni finalizzate alla costruzione di relazioni solidali. I recenti progetti di volontariato coinvolgono anche giovani studenti in un circolo virtuoso di bene, formazione, informazione e resilienza.[7]

[1] Come, dove, quando, Torino 1933, p. 5-6

[2] Regole per li Officiali della Compagnia di San Paolo, 1612, p. 13-14 (ASSP I, CSP, Statuti Regolamenti, Regole, 2) – Consulta il documento

[3] Ivi

[4] Regolamento per la distribuzione dei soccorsi, 1853 (ASSP, I, Ufficio Pio, Regolamenti e istruzioni, 8) – Consulta il documento

[5] Amedeo Peyron è delegato per la parrocchia S. Cuore di Maria nel 1933, cfr. Come, dove, quando, 1933, p. 128

[6] Statuto dell’Associazione Volontari Ufficio Pio San Paolo (Archivio di Deposito della Compagnia di San Paolo, faldone 939.1)

[7] Programma Volontariato – Vai al sito