L’Ufficio Pio nasce per “maritar povere figliole[1], è questa la prima “opera di carità” citata nell’ordinato di fondazione[2]. Infatti, per una ragazza senza dote, risultava quasi impossibile sposarsi o avere un ruolo nella società, ma era per lei facile “cadere in peccato”. Per evitare il pericolo, i confratelli decidono di aiutare le ragazze “oneste” fornendo loro la dote. L’importanza dell’opera è indicata anche dal significato simbolico delle giornate in cui avveniva l’assegnazione delle doti: il 25 gennaio e il 29 giugno, ricorrenze della conversione e del martirio di San Paolo, rappresentano per le ragazze il traguardo di un iter scandito da precise tempistiche e regole.

Le aspiranti partecipanti devono essere nate e battezzate a Torino, vergini, “di padre e madre di onesta qualità”, povere e di età compresa tra i 15 e i 26 anni. Il numero di richieste è da subito elevato, tanto da richiedere la revisione dei criteri di assegnazione già nel 1605. [3]

Le nuove disposizioni esprimono un criterio preferenziale verso le “pericolose, ovvero ragazze particolarmente belle … inserite in un contesto familiare particolarmente disagiato” [4] e per le fanciulle che non sono state a “servire fuori dalla casa loro”.[5]  Quest’ultima clausola, diventata necessaria e non più preferenziale a inizio Settecento,[6] si può interpretare come garanzia di onestà, perché chi non lavora presso altre case è meno esposta al peccato, ma in realtà segna una suddivisione di classe, poiché sono poche le ragazze che in situazioni di povertà possono permettersi di non lavorare. In effetti le ragazze che concorrono per la dote non appartengono agli strati più bassi della società, spesso sono figlie di artigiani o mercanti.

Nonostante le nuove condizioni, le domande superano le 22 doti messe a disposizione dalla Compagnia. Si decide, perciò, di estrarre a sorte le fortunate; in caso di maggiori diponibilità finanziarie, si aumenta il numero di beneficiate mantenendo invariato l’ammontare di ciascuna dote, fissato inizialmente a 400 fiorini e portato a 30 ducatoni dalla seconda metà del Seicento. [7]
Chi possiede i requisiti deve presentare una supplica scritta in due momenti dell’anno (tra gennaio e febbraio oppure tra giugno e luglio). Nel giorno decisivo per il loro futuro, le ragazze “ammesse alla sorte” arrivano in processione dal Monte di pietà all’Oratorio, dove si trova una borsa con i “polizzini” benedetti. Un bambino estrae i nomi delle beneficiate, che ricevono la polizza da compilare con i dati propri e del futuro sposo, sottoposto anch’egli al giudizio dei confratelli. Infine, pena il ritiro della dote, le sorteggiate senza “partito pronto”, devono trovare marito entro sei mesi.  Nel 1683 il termine viene posticipato a un anno per evitare che il poco tempo a disposizione porti le fanciulle a una scelta sbagliata. La sposa, vestita con semplice saietta priva di ornamenti, convolerà a nozze il 25 gennaio o il 29 giugno nell’Oratorio della Compagnia. Una volta celebrato il matrimonio, viene consegnata al marito la dote in denaro.

Le somme destinate alle doti ordinarie derivano soprattutto dai buoni investimenti della Compagnia, ma esistono altri tipi di doti, straordinarie, stanziate in base ai lasciti dei privati. In questo caso cambiano i criteri di assegnazione, definiti dal testatore, la data di distribuzione, non fissata, e la somma.

Infine, una dote particolare per le fanciulle che scelgono di “maritarsi a Dio” è introdotta ai primi del Seicento e regolata sul modello delle doti ordinarie: le ragazze che scelgono la vita monacale devono essere torinesi, legittime, vergini e oneste e ricevono la dote dopo aver preso i voti.

Raggiunto l’apice delle assegnazioni nel Settecento, il numero di doti diminuisce fino alla loro abolizione voluta dalla riforma del diritto di famiglia nel 1975. L’assegnazione di doti, mutata in contributi educativi e sostegni all’autonomia, continua a dimostrare l’attenzione della Compagnia di San Paolo e della Fondazione Ufficio Pio verso le donne che ha saputo evolversi e adattarsi alle mutate esigenze storiche e sociali.

[1] Per approfondimenti si rimanda ai volumi: Walter Barberis e Anna Cantaluppi (a cura di), La Compagnia di San Paolo, Torino 2013 e Simonetta Pozzati, «Tutte sono opere di questo Ufficio». L’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo: da quattro secoli vicino alle persone, Torino 2013

[2] Ordinato di fondazione dell’Ufficio Pio, 14 maggio 1595 (ASSP, I, UP, Ordinati e verbali, vol. 243 p. 7) – Consulta il documento

[3] «Qualità, e Conditioni delle Figliuole, quali puonno aspirare alle sudette Doti ordinarie», sec. XVII (ASSP, I, UP, Regolamenti e istruzione, 242, fasc. 2) Consulta il documento

[4] Simonetta Pozzati, «Tutte sono opere di questo Ufficio». L’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo: da quattro secoli vicino alle persone, Torino 2013, p. 15

[5] «Ordine come si debbiano et quali si devono admettere al matrimonio et dar elemosina dal Pio Ufficio», 11 luglio 1605  (ASSP, UP, Ordinati e verbali, vol. 243) – Consulta il documento

[6] Emanuele Tesauro, Istoria della venerabile Compagnia della Fede cattolica, 1701, Regole per la distribuzione delle doti, p. 49-50 – Consulta il testo

[7] Emanuele Tesauro, Istoria della venerabile Compagnia della Fede cattolica, 1701, Regole per la distribuzione delle doti, p. 198 – Consulta il testo; Sandra Cavallo, Marcella Maritano, La pratica assistenziale e educativa, in La Compagnia di San Paolo, I, p. 452; Elisa Mongiano, Gian Savino Pene Vidari, Lasciti e doti nell’attività assistenziale e creditizia della Compagnia, in La Compagnia di San Paolo, I, p. 491